L’aspetto olistico delle malattie è ancora un concetto abbastanza nuovo per l’uomo e per il suo grado evolutivo attuale. La coscienza dell’essere umano si identifica ancora con la forma, con il mondo oggettivo percepito dai cinque sensi.
“Questo è il grande errore del nostro tempo… I medici tengono separata l’anima dal corpo.” (Platone)
In questa ottica il primo passo da compiere è quello di accorgerci di non essere del tutto consapevoli di noi stessi. Rendendoci in qualche modo conto di vivere nell’incoscienza si comincia a sentire chi più chi meno la necessità di acquisire maggiore consapevolezza delle nostre azioni e pensieri, di “risvegliarsi”, inizia così una sorta di processo o lotta vera e propria per uscire da questo stato.
Ritrovare dunque noi stessi, quello che siamo in realtà, accettare anche quello che noi riteniamo essere il nostro lato oscuro e che spesso neghiamo inconsapevolmente.
Accettandolo possiamo orientarlo nella direzione del raggiungimento dell’armonizzazione, base per la serenità, per l’equilibrio e di conseguenza per la salute psichica e di conseguenza fisica. Prima che possa avvenire una maggiore presa di coscienza che porta un cambiamento nell’individuo e lo fa divenire un “nuovo nato”, c’è pertanto un periodo di travaglio, di crisi, di disturbi espressi da malattie fisiche e psichiche, intese come nevrosi, che indicano l’approssimarsi di questo evento verso cui l’uomo tenderebbe naturalmente. Egli soffre fino a quando non comprende di essere giunto ad un punto cruciale della sua vita, per cui deve operare delle scelte, orientarsi consapevolmente verso la sua evoluzione. Quali possono essere gli inconvenienti della nostra resistenza al flusso evolutivo naturale? Possono essere molti, tra cui l’insoddisfazione cronica la depressione che possono sfociare in malattie vere e proprie. La personalità ha paura di crescere, di progredire, di soffrire, oppone resistenza a questo processo, il Se profondo invia dei messaggi il più delle volte inascoltati fino al punto di condurre l’essere ad una “rottura”, la malattia, che nasconde un messaggio verso il cambiamento.
L’essere umano è un aggregato di energie che si manifestano a vari livelli vibratori. L’uomo non ha soltanto un corpo materiale, solido, visibile, ma anche altri corpi sottili veri e propri campi di forza, all’interno dei quali possono nascondersi le cause di malattia.
Anche la medicina ufficiale con la psicosomatica, si sta lentamente aprendo verso interpretazioni meno materialistiche e meccanicistiche. A seconda dell’organo o della funzione che sono colpiti, vi è un particolare problema, un conflitto diverso, un errore specifico da individuare. Vi è, per così dire, un linguaggio, un simbolismo, che deve essere interpretato, e che anche con un lavoro introspettivo dobbiamo imparare a decifrare.
In questo contesto si inserisce a mio avviso a pieno titolo la fitoterapia, intesa come sussidio, supporto alle “fatiche”, e quindi al processo di individuazione che l’uomo è chiamato ad affrontare.
Il termine “fitoterapia” deriva dal greco “phytòn”, che significa “pianta”, ma allo stesso tempo anche “creatura”, è interessante notare come questo duplice significato nasconda un concetto profondo, La radice, infatti, deriva dal verbo “phyto” (generare ed essere generati), che indica il processo della fertilità, della creazione. La salute, vista da questa angolatura può essere definita come una esperienza di benessere risultante da un equilibrio dinamico fisico, biologico e psicologico dell’organismo, senza dimenticare le interazioni di quest’ultimo col suo ambiente circostante naturale e sociale.
Le piante medicinali, come l’essere umano, sono un insieme organico e funzionale che si sviluppa nello stesso habitat dell’uomo, e i loro costituenti, i loro principi attivi, i fitocomplessi, intesi come insiemi che definisco “intelligenti”, non sono un miscuglio occasionale di molecole in attesa di essere sfruttate a nostro piacimento, intelligenti in quanto la pianta o le piante scelte come rimedio contengono si il principio attivo che svolge la azione principale, ma anche il fitocomplesso avvero altre sostanze attive che coadiuvano sinergicamente l’azione principale del principio attivo.
Un caro amico “curandero” Boliviano mi disse che le piante “fanno quello che devono fare e vanno dove devono andare”.
Le piante al pari degli esseri viventi, vanno intese come dotate di una energia che si esplica attraverso la loro fisiologia, i cui costituenti chimici sono espressione finale materiale e concreta della loro attività altamente energetica. Le piante fabbricano zuccheri a partire dall’anidride carbonica e dall’acqua tramite la fotosintesi clorofilliana, ovvero tramite la possibilità di sfruttare i quanti di energia fotonica e di trasformarla in un prodotto metabolico primario che racchiude questa energia.
Ig – @fairness_mag