La Domenica di Fairness. “Rivediamoci per Rimpiangere”

(L'Inesorabile Tristezza delle Rimpatriate di Classe)

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C’è un motivo se “Compagni di scuola” di Carlo Verdone è diventato un cult: quel film cattura alla perfezione il tragicomico disastro di ogni rimpatriata tra ex compagni. Perché ci siamo passati tutti, almeno una volta, nella serata che doveva essere all’insegna della nostalgia e del “quanto ci volevamo bene”, ma si trasforma subito in un buffet di confronti, risate tirate e racconti imbarazzanti. Eppure, ogni volta ci caschiamo: arriva il messaggio su WhatsApp e, presi da un misto di curiosità e masochismo, rispondiamo con entusiasmo all’idea di rivedere quelli che, anni fa, erano gli amici inseparabili di scuola.

Diciamoci la verità. Quanti di noi hanno pensato almeno una volta: “Che bello sarebbe rivedere i vecchi compagni di scuola!” un po’ per curiosità e un po’ per nostalgia. Ma quando ci troviamo davanti agli ex colleghi di banco, realizziamo che è un po’ come tornare al liceo, ma con più rughe e qualche speranza in meno.

La nostalgia, si sa, è un’arma a doppio taglio: ci fa ricordare solo i bei momenti, dimenticando (forse per auto-conservazione) che non vedevamo l’ora di diplomarci e non rivedere più certa gente.

(Ma ci siamo cascati, di nuovo)

Si arriva alla serata di ritrovo con l’aria di chi sta per entrare in una commedia tragicomica, ed è lì che parte la vera sfida: riconoscere chi è chi. Dopo tutto, sono passati vent’anni, e il tempo non è stato clemente con nessuno (per fortuna). Il primo shock è rivedere lui, il “bello della scuola”, il rubacuori per eccellenza che, ai tempi, faceva strage di cuori in cortile. Ora è un omino con una pancetta prominente, più stempiato di quanto vorrebbe ammettere, che si aggira un po’ impacciato, cercando di scoprire chi altri sia ancora single. Qualcuno sussurra, qualcuno ride sottovoce, e il povero ex-adone non si rende nemmeno conto di quanto sia caduto dal piedistallo.

Al primo brindisi (e alle prime gaffes), si passa al momento clou: il riconoscimento reciproco. Tragedia. C’è chi è cambiato così tanto che neanche con la carta d’identità a portata di mano potrebbe risultare vagamente familiare. “Ma tu sei davvero Marco?!” esclama qualcuno, mentre Marco sorride con un’espressione tra il fiero e l’imbarazzato, forse cercando di giustificare che non è “invecchiato male”, è solo più… maturo.

Altri, nel tentativo disperato di non passare inosservati, iniziano a raccontare storie a metà tra il grottesco e il trionfale, come se l’intera serata fosse una competizione di racconti improbabili su chi ha scalato più vette, metaforiche e non.

In sottofondo, si staglia la presenza della secchiona, quella che ha tenuto la classe al guinzaglio ai tempi e che oggi, più implacabile che mai, snocciola successi professionali come confetti al matrimonio. E mentre lei parla di “equilibri aziendali” e “fusioni internazionali”, uno sguardo furtivo si posa sul tavolo degli antipasti: lì, proprio accanto alla solita insalata russa e al carpaccio di bresaola, c’è l’amico di sempre, il “signor Scrocca-Aperitivi” che non perde occasione per fiondarsi sul cibo come se fosse il buffet di un banchetto reale.

E poi, ovviamente, c’è il famigerato ex-fidanzatino di scuola, che ha lasciato la sua vecchia fiamma per diventare un guru della meditazione. Sì, proprio lui, che fino all’ultimo giorno di scuola credeva fermamente che la geografia fosse una parte del corpo umano. Ma il tempo trasforma anche i più improbabili, e adesso si aggira tra i tavoli, dispensando saggezza da manuale e sussurrando frasi tipo “l’importante è amare sé stessi”. Forse è per questo che è venuto da solo.

Alla fine della serata, come da copione, arrivano i selfie di gruppo. Tutti sorridono, alzano i bicchieri, e si immortalano in quella che sembra una parodia di vecchi tempi mai davvero esistiti. “Serata indimenticabile!” si legge sui volti, mentre una voce interiore, forse più sincera, sussurra che è meglio non ripetere l’esperimento per almeno altri dieci anni. Ma poi, tra il sarcasmo e il rimpianto, ci rendiamo conto che questi incontri sono come uno specchio: un po’ distorto, un po’ comico, ma in fondo l’unico modo che abbiamo per guardare al passato e ridere, anziché piangere!

In fondo, forse, è questa la vera morale di queste serate tragicomiche. Non ci ritroviamo per dimostrare nulla a nessuno (o almeno, così ci piace pensare), ma perché, anche se in fondo siamo gli stessi ragazzi di allora, è bello concedersi una serata per ridere dei nostri fallimenti e delle nostre pretese, tanto improbabili quanto stupendamente umane.

E mentre si torna a casa, più o meno stravolti, una domanda resta sospesa nell’aria: vale davvero la pena di rivedersi o forse, solo forse, ci sono cose che stanno meglio (solo) nei ricordi?


Ig – @fairness_mag

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