Negli ultimi dodici anni, circa 550mila giovani italiani, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, hanno lasciato il paese in cerca di migliori prospettive lavorative, educative e di qualità della vita. Questo dato preoccupante, evidenziato dalla Fondazione Nord Est, porta a riflettere sull’impatto che l’emigrazione giovanile ha sull’Italia, non solo in termini sociali ma anche economici. La perdita stimata di capitale umano raggiunge i 134 miliardi di euro, una cifra che rappresenta l’investimento non realizzato, il potenziale inespresso e la produttività mancata.
Perché l’Italia, un paese che storicamente ha dato i natali a personalità di spicco in ogni campo, non riesce a trattenere i suoi giovani? Secondo Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, l’Italia è all’ultimo posto in Europa per attrattività dei talenti. Questo dato non è solo statistico, ma rispecchia un problema profondo di competitività e di capacità di innovazione del sistema paese. Mentre altri paesi, come la Svizzera e la Spagna, riescono ad attrarre rispettivamente il 43% e il 32% dei giovani europei, l’Italia si ferma a un misero 6%.
L’analisi della Fondazione rivela che i motivi principali dell’esodo sono le opportunità lavorative (25%), la possibilità di accedere a un’istruzione e formazione di alto livello (19,2%) e il desiderio di una qualità della vita migliore (17,1%). Questo significa che le cause della fuga non sono solo economiche, ma anche legate alla mancanza di prospettive sociali e professionali soddisfacenti.
L’effetto sul mercato del lavoro interno
La migrazione dei giovani all’estero, oltre a impoverire il tessuto sociale, ha effetti gravi anche sul mercato del lavoro italiano. Il Nord Italia è particolarmente colpito da questo fenomeno, con il 35% dei giovani dichiaratisi pronti a trasferirsi all’estero. La conseguenza è una carenza strutturale di competenze, che rende sempre più difficile per le aziende trovare figure specializzate. Il divario tra domanda e offerta di lavoro si amplia, mentre si perdono competenze chiave proprio nei settori tecnici, quelli maggiormente necessari per il rilancio dell’industria nazionale.
Renato Brunetta, presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), definisce questa situazione una vera e propria emergenza nazionale. Secondo Brunetta, oltre il 58% dei giovani emigrati occupa posizioni tecniche strategiche, un patrimonio di competenze che il paese non può permettersi di vedere dissipato.
Uno dei motivi principali per cui i giovani italiani scelgono l’estero è la migliore qualità della vita offerta in altri paesi europei. Questo significa non solo migliori condizioni salariali, ma anche una cultura lavorativa più rispettosa e orientata al benessere personale, una maggiore flessibilità, e prospettive di carriera più concrete. Di fronte a questi dati, è lecito chiedersi: cosa può fare l’Italia per invertire questa tendenza?
Molti giovani emigrati sottolineano che il loro desiderio di restare o tornare in Italia sarebbe più forte se esistessero politiche concrete per migliorare la qualità della vita e il mercato del lavoro. Incrementare gli investimenti in innovazione, offrire migliori condizioni contrattuali, incentivare il welfare aziendale e abbattere la burocrazia sono solo alcune delle azioni che potrebbero rendere l’Italia un paese più attrattivo.
Quali soluzioni per il futuro?
Se l’Italia vuole realmente trattenere i suoi talenti, è necessario un cambio di rotta. Investire in un sistema educativo all’avanguardia, che possa competere con le migliori università europee, è essenziale. A questo si aggiunge la necessità di creare un mercato del lavoro dinamico e ben remunerato, che permetta ai giovani di crescere e di realizzarsi.
In un mondo in cui la competizione per il talento è globale, l’Italia non può più permettersi di restare indietro. La risposta a questa emergenza non può essere solo economica: occorre una visione a lungo termine, che abbracci un cambiamento culturale e sociale. Riuscire a trattenere i giovani significa costruire il futuro del paese. Non si tratta solo di attrattività, ma di identità e di capacità di innovare. Riusciremo a rendere l’Italia un luogo in cui i giovani possano davvero immaginare il proprio futuro?
Ig – @fairness_mag