Immaginate di passare una settimana davvero complicata e caotica e di vedere l’uscita del sabato sera come uno spiraglio di luce in fondo al tunnel della routine quotidiana.
Vi preparate, aggiustate trucco e parrucco e siete pronte ad uscire per riuscire finalmente a rilassarvi. Che meraviglia!
Peccato che, poco prima di varcare la soglia di casa, un forte mal di stomaco vi suggerisca che -forse- con le basse temperature di questi giorni autunnali, uscire e prendere freddo potrebbe non essere la soluzione migliore così, ahimè decidete di restare a casa, proprio all’ultimo minuto.
Ecco, questo è ciò che è successo a me qualche giorno fa.
No, non ho scambiato la rubrica Linguistics per “io e le mie sfortune”, ma leggendo la mia sventura su un social, una mia amica ha commentato l’accaduto con la frase: Sei rimasta come la Zita di Ceglie.
Lei pugliese, io piemontese trapiantata a Roma. Ero sicura che non si trattasse di un’offesa, ma quella frase mi suonava totalmente nuova, così con l’aiuto di Francesca, la mia amica, ho approfondito e ho scoperto una storia vera e affascinante, nonostante l’epilogo non proprio felice.
La Vera storia della Zita di Ceglie
Siamo nel 1935, in piena epoca fascista, in un quartiere periferico di Bari denominato Ceglie del Campo. Lì, una giovane tra le tante si innamorò di un affascinante militare di Bari, tanto bello da far impazzire l’intero paese.
La loro storia d’amore sbocciò in fretta, ed era così bella da sembrare una favola e, proprio come nelle favole, poco dopo lui le chiese di sposarla.
Iniziarono subito i preparativi, tutto il quartiere era in festa, e presto l’agognato giorno arrivò.
La cerimonia si sarebbe tenuta nella Chiesa della Madonna di Buterrito, e tutti si radunarono sul sagrato per assistere a quel grande evento. Ma quando la sposa, accompagnata dal padre, giunse all’altare, scoprì con orrore che lo sposo non si era ancora presentato.
Passarono circa due ore di interminabile attesa quando un amico comune le portò un telegramma che recitava:
La guerra m’ha chiamato, il mio amor non dovrai più aspettare,
sii libera bellezza del creato, me non dovrai più amare
Non si può certo dire che il militare non fosse anche un poeta, ma ciò non evitò alla giovane di rimanere sola e sconsolata, anche perché non ci è dato sapere se il ragazzo fosse stato davvero richiamato alle armi (in quel periodo si stava combattendo la guerra d’Etiopia ) o se la guerra fosse solo un pretesto per sfuggire ad un matrimonio organizzato troppo velocemente.
L’unica notizia certa è che quell’evento, da tutti ricordato, diede origine a un modo di dire locale: Sei rimasto come la Zita di Ceglie.
Zita è infatti un termine utilizzato in Puglia, ma anche in altre regioni come Sicilia, Campania e Calabria, che equivale a fidanzata, ragazza, giovane donna (non sposata). E’ solo nel territorio pugliese, però, che questo modo di dire utilizzato per descrivere chi è stato abbandonato all’improvviso o chi si è preparato per un grande evento che poi non si è realizzato, lasciando un senso di delusione. In passato, invece, si riferiva soprattutto a donne sfortunate rimaste senza marito.
Nel tempo, poi, il suo utilizzo si è diffuso tanto da essere inserito nell’incipit di una famosa canzone di Gianni Ciardo, Enza.
Ricordo quella sera, quando che morì mia moglie,
che mi lasciò da solo come la sposa di Ceglie
Curiosamente, La Zita di Ceglie è anche il titolo di un brano strumentale composto da Vito di Modugno e inciso nel 2008. Inoltre, nel 2009, è stato rappresentato un lavoro teatrale con lo stesso titolo.
È importante notare che Rimanere come la Zita di Ceglie non è un proverbio, ma un modo di dire tipicamente locale, che richiede una spiegazione per chi non è del posto. Questo rende l’espressione affascinante e unica, testimone della cultura e delle tradizioni di Ceglie del Campo.
Ringrazio la mia amica Francesca per avermi fatto scoprire questo modo di dire davvero curioso!
Ig – @fairness_mag