Il dibattito sui migranti italiani, tenutosi lo scorso 20 gennaio 2025 presso il Consolato Generale Italiano a Londra, ha messo in luce tematiche di grande rilevanza. Uno degli aspetti più significativi riguarda la continua emigrazione di italiani e la relativa iscrizione all‘AIRE, con le varie richieste di residenza all’estero. Lo studio condotto dal RIM (Rapporto Italiani nel Mondo) ha evidenziato come una percentuale considerevole degli emigrati provenga da ogni parte del territorio nazionale, segnalando una costante “fuga di cervelli“. Questo fenomeno, ormai noto, non riguarda esclusivamente i laureati, ma anche una fetta significativa della popolazione giovanile con alte qualifiche professionali.
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Se da un lato tale fenomeno è legato alle opportunità lavorative offerte all’estero, dall’altro riflette una realtà socio-economica interna che continua a spingere le persone a cercare fortuna altrove. Questo sottolinea come gli italiani residenti all’estero siano in fase di sviluppo e crescita, a differenza degli italiani rimasti nel Paese, che si trovano ad affrontare una decrescita demografica e un futuro incerto e squilibrato.
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L’emigrazione e la situazione socio-economica locale
Un aspetto che emerge con forza è il legame tra l’emigrazione e la situazione socio-economica delle diverse regioni italiane. In molte zone, soprattutto nel Mezzogiorno, le opportunità di lavoro per i giovani con alti livelli di istruzione sono limitate. Questa mancanza di prospettive spinge molti a cercare altrove una stabilità professionale e personale.
In questo contesto, il termine “fuga di cervelli” appare più che appropriato. Si tratta di una perdita di capitale umano che ha ripercussioni anche sull’equilibrio economico del Paese. La sfida per l’Italia è duplice: non solo contrastare questa emorragia di talenti, ma anche creare un sistema in grado di valorizzare le competenze e offrire prospettive lavorative adeguate.
I dati del RIM, pubblicati annualmente, mostrano che l’emigrazione italiana ha subito una crescita considerevole negli ultimi cinque anni. Se alcuni emigrano per scelta, il dato più preoccupante è che molti lo fanno per necessità. Si parte alla ricerca di un lavoro dignitoso, della possibilità di costruire una famiglia e di mettere radici in un luogo che offra più stabilità e opportunità di crescita. Purtroppo, senza una posizione lavorativa stabile, il sogno di una vita serena rischia di rimanere irrealizzato.
Il dibattito ha affrontato numerosi temi e i relatori hanno presentato dati raccolti tramite studi e interviste su diversi territori. Tuttavia, alcune categorie di emigrati sono state ignorate. Tra queste, gli esodati, i divorziati, le madri single e gli orfani di genitori nullatenenti. Alcuni partecipanti hanno posto domande specifiche su queste categorie, ma al momento non hanno ricevuto risposte.
Forse si tratta di argomenti ritenuti troppo delicati o secondari rispetto ad altre questioni? O forse lo Stato preferisce evitare di affrontarli per mancanza di soluzioni concrete? Gli esodati, coloro che hanno perso il lavoro senza avere ancora diritto alla pensione, e le persone che, pur avendo elevate capacità intellettive, non hanno avuto la possibilità economica di proseguire gli studi, non sono stati adeguatamente rappresentati nelle statistiche ufficiali.
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Dati regionali e considerazioni finali
I grafici presentati durante il dibattito hanno mostrato chiaramente quali regioni italiane registrano il tasso più alto di emigrazione. Al primo posto si trova la Sicilia, con 826.116 emigrati, seguita dalla Campania (562.938) e dalla Calabria (450.158). Ancora una volta, il Sud Italia si conferma la parte del Paese più colpita dalla crisi economica e dalla mancanza di opportunità.
I partecipanti al dibattito hanno espresso numerosi dubbi e preoccupazioni in merito al rientro degli italiani emigrati. Se è vero che alcune leggi hanno incentivato il ritorno dei cosiddetti “cervelli in fuga” attraverso sgravi fiscali per chi assume questi professionisti, quanti sono davvero i beneficiari di tali misure? Quali fasce di età ne traggono vantaggio? E quali sono le condizioni offerte in termini di previdenza sociale?
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Un aspetto inquietante riguarda l’età dei lavoratori rientrati in Italia. Tra un over 40 e un over 30, un’azienda italiana preferirà quasi sempre il più giovane, lasciando i professionisti più maturi in una posizione di svantaggio nel mercato del lavoro.
Concludo con un pensiero che continua a tormentarmi: se l’Italia è considerata il “Paese dei Balocchi” per i migranti che vi arrivano, ma al contempo non riesce a trattenere i propri cittadini a causa della mancanza di lavoro, che gioco sta facendo il nostro Paese?
Sta forse sostituendo la popolazione locale con una nuova, proveniente da altre nazioni, per creare un ulteriore miscuglio di culture, come accaduto più volte nella storia? Oppure c’è un’altra strategia dietro questa dinamica?
Ai posteri l’ardua sentenza..