Coi suoi 90 metri e 18 piani, il cosiddetto “grattacielo” di Palermo inorgogliva il ragazzino che era in me, facendomi sentire in qualche modo testimone e partecipe di quella rinascita italiana del dopoguerra che arrivava perfino a farsi sentire nella mia Sicilia.
Una città che allora brulicava di vita e di voglia di rimboccarsi le maniche il cui spirito ho ritrovato curiosamente soltanto da adulto nella mia prima viscita a Hong Kong. C’erano, seppure moltiplicati per cento, molte di quelle senzazioni che avevo vissuto nella mia Palermo dei primissimi anni cinquanta.
Il caldo umido e appiccicoso, il formicolare umano, il vociare per strada ma c’erano soprattutto loro i grattacieli. Tanti, altissimi e possenti sembrano dominare sulla natura inneggiando al progresso dell’uomo.
E’ da allora che ho cominciato ad essere soggiogato dall’immagine dei grattacieli, che poi ho ritrovato girando per il mondo: nella Tour de Montparnasse a Parigi, nel periodo vissuto a New York e soprattutto nella Milano che dal Pirellone Pontiano alla torre Pelli della magnifica piazza Aulenti, non smetteva di stupire il mondo, coniugando arditezza tecnologica con eleganza architettonica italiana.
Carmelo Cosentino