Decodificare “Ambasciator non porta pena”. Spunti diplomatici

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Il proverbio “Ambasciator non porta pena” racchiude un principio fondamentale nella comunicazione umana e nelle relazioni internazionali.

Noto in inglese come Don’t shoot the messenger ( non sparare al messaggero ), questo proverbio affonda le sue radici nella storia e nella cultura italiana, risalendo alle origini dell’antichità classica.

E’ infatti già nell’antica Grecia e a Roma che pensatori e giuristi come Cicerone enfatizzavano l’importanza di rispettare e proteggere gli ambasciatori, riconoscendone lo status inviolabile di intermediari diplomatici.

Storicamente, ci sono stati notevoli casi in cui il maltrattamento di messaggeri ha portato a gravi crisi diplomatiche. Sappiamo infatti che, durante la Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta nell’antica Grecia, il re spartano Archidamo II inviò un araldo per negoziare con gli ateniesi, ma questi fu giustiziato all’arrivo. Questa palese violazione delle norme diplomatiche intensificò le tensioni e contribuì al prolungamento della guerra.

Un altro esempio, forse più conosciuto grazie alla trasposizione dell’evento nel film “300- Trecento”, è dato dal Re Leonida.

Nel 480 a.C., gli spartani guidati dal re Leonida assassinarono gli emissari persiani capeggiati dal re Serse, mentre stavano avanzando con i loro eserciti verso i territori greci.
Nel 438 a.C., invece, il re Tolumnio di Fidene orchestrò il massacro di quattro diplomatici romani che chiedevano giustificazioni per il cambiamento di alleanza attuato dal governo della sua città. Purtroppo, la tradizione di uccidere gli emissari per inviare un chiaro segnale di ribellione è sopravvissuta per secoli.
Uno degli ultimi esempi conosciuti avvenne infatti nel 610 d.C., quando lo scià persiano (ovvero il governatore della Persia) ordinò l’esecuzione di inviati bizantini che offrivano un accordo di pace sgradito al potere.

Il proverbio “Ambasciator non porta pena” racchiude un principio fondamentale nella comunicazione umana e nelle relazioni internazionali.

Noto in inglese come Don’t shoot the messenger ( non sparare al messaggero ), questo proverbio affonda le sue radici nella storia e nella cultura italiana, risalendo alle origini dell’antichità classica.

E’ infatti già nell’antica Grecia e a Roma che pensatori e giuristi come Cicerone enfatizzavano l’importanza di rispettare e proteggere gli ambasciatori, riconoscendone lo status inviolabile di intermediari diplomatici.

Storicamente, ci sono stati notevoli casi in cui il maltrattamento di messaggeri ha portato a gravi crisi diplomatiche. Sappiamo infatti che, durante la Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta nell’antica Grecia, il re spartano Archidamo II inviò un araldo per negoziare con gli ateniesi, ma questi fu giustiziato all’arrivo. Questa palese violazione delle norme diplomatiche intensificò le tensioni e contribuì al prolungamento della guerra.

Un altro esempio, forse più conosciuto grazie alla trasposizione dell’evento nel film “300- Trecento”, è dato dal Re Leonida.

Nel 480 a.C., gli spartani guidati dal re Leonida assassinarono gli emissari persiani capeggiati dal re Serse, mentre stavano avanzando con i loro eserciti verso i territori greci.
Nel 438 a.C., invece, il re Tolumnio di Fidene orchestrò il massacro di quattro diplomatici romani che chiedevano giustificazioni per il cambiamento di alleanza attuato dal governo della sua città. Purtroppo, la tradizione di uccidere gli emissari per inviare un chiaro segnale di ribellione è sopravvissuta per secoli.
Uno degli ultimi esempi conosciuti avvenne infatti nel 610 d.C., quando lo scià persiano (ovvero il governatore della Persia) ordinò l’esecuzione di inviati bizantini che offrivano un accordo di pace sgradito al potere.

Tutti questi massacri portarono a istituire il principio dell’inviolabilità degli ambasciatori che fu poi codificato e rafforzato nel diritto internazionale medievale: gli inviati e i messaggeri ufficiali tra gli stati erano considerati persone sacre, la cui integrità doveva essere preservata a tutti i costi. L’idea era che, per consentire una comunicazione efficace e la risoluzione pacifica dei conflitti, gli ambasciatori non potessero essere puniti o non dovessero subire ritorsioni per il semplice fatto di aver trasmesso un messaggio, anche se il suo contenuto era scomodo o spiacevole.

Per evitare definitivamente un ritorno al truce passato, nel corso della storia si sono susseguiti numerosi accordi legali e internazionali che rafforzassero ulteriormente il principio dell’inviolabilità dei messaggeri e degli ambasciatori. Addirittura, la Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 1961 vietò esplicitamente l’arresto o la detenzione degli agenti diplomatici per sottolineare l’immunità di cui godono ( ovviamente ancora oggi…) dalla giurisdizione dello Stato ricevente.

Ma oltre al suo significato legale, il proverbio “ambasciator non porta pena” ha profonde implicazioni etiche: esso solleva interrogativi sulla responsabilità morale dei messaggeri e sull’etica della trasmissione di messaggi, in particolare quando contengono informazioni delicate o controverse. Infatti, sebbene i messaggeri abbiano il dovere di trasmettere messaggi in modo fedele, possono trovarsi di fronte a dilemmi etici quando hanno il compito di trasmettere messaggi che potrebbero causare danni o ingiustizie.

Inoltre, anche culturalmente il concetto di non incolpare il messaggero ha permeato diverse società ed è stato rappresentato nella letteratura, nell’arte e nella cultura popolare. Ad esempio, l’opera di Shakespeare “Enrico IV, Parte 2” contiene la famosa battuta,

La parte migliore del valore è la discrezione

 Questo verso così antico eppure così attuale, sottolinea l’importanza della discrezione e della diplomazia nel trasmettere informazioni delicate, soprattutto da parte degli ambasciatori.

Ai giorni nostri, il principio di non incolpare il messaggero rimane rilevante nella diplomazia, negli affari, nella politica e nella comunicazione quotidiana.
In un mondo in cui le informazioni vengono diffuse rapidamente attraverso vari canali, comprendere e rispettare il ruolo dei messaggeri è essenziale per mantenere la fiducia, promuovere il dialogo e raggiungere soluzioni pacifiche ai conflitti.

Le origini del proverbio, quindi, affondano le radici nella storia del diritto internazionale e della diplomazia, riflettendo l’importanza di rispettare gli intermediari e la comunicazione pacifica tra parti in conflitto. Questo principio, consolidato nel Medioevo, era essenziale per consentire il dialogo e la risoluzione dei conflitti senza che i messaggeri ufficiali subissero conseguenze negative.

Possiamo quindi dire che questo modo di dire rimane un’espressione vivace e profondamente radicata ancora oggi, testimonianza della saggezza giuridica e diplomatica di mille anni fa….

Vuoi sapere come viene tradotto questo motto in altre lingue?

Ecco alcune traduzioni!

Inglese: Don’t shoot the messenger
Francese : Ne faire pas que passer le message…
Spagnolo: No mates al mensajero
Tedesco: Nicht den Überbringer der schlechten Nachrichten (oder Botschaften) bestrafen.

Facci sapere se conosci altre traduzioni!


Ig – @fairness_mag    YouTube – @FairnessMag

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Rosy M. - Italy
Rosy M., è laureata in Lingue per i Rapporti Internazionali d'Impresa. Attualmente svolge il ruolo di Tutor Linguistico, mettendo a frutto la sua competenza nelle lingue. Appassionata di viaggi e amante degli animali, Rosy unisce la sua passione per la cultura internazionale con l'amore per la natura.
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