Chi tene ‘o mare, tene ‘o core! è un modo di dire napoletano che racchiude l’essenza della cultura e della lingua partenopea.
In effetti, se ci pensiamo, questo proverbio non solo evoca l’amore per il mare, ma rappresenta anche un legame profondo tra la lingua e l’identità di un popolo.
Sì, perché il napoletano, spesso considerato semplicemente un dialetto, merita di essere riconosciuto come una lingua a tutti gli effetti, e ci sono motivazioni linguistiche, storiche e culturali che lo dimostrano.
Per cominciare, è importante chiarire che il napoletano ha radici storiche molto antiche. Già nel XIII secolo, con l’istituzione del Regno di Napoli, il napoletano cominciò a svilupparsi come lingua di cultura e comunicazione, la cui evoluzione, nel tempo, è stata influenzata da vari fattori, tra cui le dominazioni straniere – come quella spagnola e francese – che ne hanno arricchito il vocabolario e la struttura. E’ proprio grazie a queste ‘intrusioni’ che il napoletano ha mantenuto una sua identità distintiva, differente dall’italiano standard che invece si è sviluppato successivamente nel resto della Penisola.
Inoltre, dal punto di vista linguistico, il napoletano presenta caratteristiche che lo rendono unico. È una lingua romanza, appartenente alla stessa famiglia dell’italiano, ma con una grammatica, una fonetica e un lessico propri. Ad esempio, la pronuncia delle vocali e dei suoni consonantici è molto diversa rispetto all’italiano, poiché più chiusa e nasale. Inoltre, il napoletano possiede una ricca varietà di vocaboli che non hanno equivalenti diretti in italiano, il che dimostra la sua complessità e la sua capacità di esprimere concetti e sentimenti in modi unici.
Pensiamo, ad esempio, alla parola Cazzimma: si tratta di una parola che descrive un atteggiamento astuto o furbo, spesso con connotazione negativa (come la furbizia maliziosa ), che non ha davvero un equivalente in italiano.
Un altro aspetto fondamentale è la sua diffusione. Il napoletano non è parlato solo a Napoli, ma in tutto il sud Italia e tra le comunità napoletane sparse nel mondo. Questa diffusione ha contribuito a mantenere viva la lingua, nonostante le pressioni del linguaggio standard. Secondo l’ISTAT, nel 2011 circa 1,5 milioni di persone dichiaravano di parlare il napoletano come lingua principale, mentre altri milioni lo parlano come seconda lingua. Questo dato è significativo e dimostra quanto sia radicata la lingua nella vita quotidiana delle persone, tanto da essere utilizzata anche nelle opere di importanti poeti e scrittori napoletani, come Salvatore Di Giacomo e Eduardo De Filippo, contribuendo a elevare la lingua a un livello di dignità e rispetto.
È anche importante considerare il riconoscimento ufficiale del napoletano. Nel 1999, la legge regionale n. 13 della Campania ha riconosciuto il napoletano come lingua di minoranza, sottolineando la sua importanza culturale e storica. Questo è un passo significativo verso il riconoscimento del napoletano come lingua e non solo come dialetto. Inoltre, nel 2017, l’UNESCO ha incluso la musica tradizionale napoletana nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, evidenziando l’importanza della lingua e della cultura napoletana nella sua espressione musicale. E’ anche grazie alla diffusione delle canzoni neomelodiche napoletane che il napoletano è stato inserito in vari programmi scolastici e corsi di lingua, il che dimostra un crescente interesse e rispetto per questa forma di comunicazione anche al di fuori del suolo campano.
Naturalmente, c’è chi continua a considerare il napoletano un semplice dialetto, ma questa visione è limitata e non tiene conto della ricchezza e della complessità della lingua. La distinzione tra lingua e dialetto non è sempre netta e dipende da vari fattori, tra cui l’uso, la letteratura e il riconoscimento sociale. Tenendo invece conto della struttura e della sua storia, possiamo asserire che il napoletano, con la sua cultura e le sue peculiarità, si colloca senza dubbio nella categoria delle lingue, e come tale va celebrata e rispettata.
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