La Domenica di Fairness. Storie intrecciate di Popoli e Culture

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Se in Italia la ricerca di un lavoro è un’impresa ardua e spesso impossibile, a Londra accade l’opposto. Qui, ogni tanto, è il lavoro che ti bussa a casa, e sta a te decidere se aprire la porta. In questo paese siamo destinati a cambiare abitazione frequentemente; si vive in case condivise con persone estranee che, col tempo, diventano quasi una famiglia. Incomprensioni e dissapori non mancano mai, ma all’improvviso accade qualcosa di insolito: un altro caso di migrazione forzata, dove questa volta è un membro della famiglia a lasciare il bel paese. Così, ci si ritrova costretti a cercare una nuova casa, affinché quella condivisione forzata assuma un aspetto diverso e più piacevole.

Ecco che si trova un bilocale che dovrà ospitare un’intera famiglia e un “terzo incomodo”… il cognato, una spina nel fianco, come lo definisco io. Ma si sa, a Londra si sopporta tutto, anche le cognate zitelle, acide e matte, e lui, “santa pazienza”, ancora oggi sopporta e supporta due sorelle.

© Archivio di Angela Ivaldi con Giusy Ivaldi Uso autorizzato

Come è risaputo, le case a Londra non sono sempre accoglienti come si potrebbe pensare; spesso presentano grossi problemi strutturali e igienico-sanitari, che costituiscono uno dei disagi più comuni nella vita quotidiana. E così, uno di questi problemi si presenta anche a casa nostra, e il landlord bussa alla porta per risolverlo. Ma chi bussa non è il solito padrone di casa, bensì uno dei più grandi imprenditori di origine turca presenti nel territorio britannico. È noto che la comunità turca rappresenti una parte significativa della popolazione, anche grazie agli accordi tra il Regno Unito e Ankara che hanno agevolato l’immigrazione e l’integrazione di questa comunità, portando con sé una cultura ben radicata in una terra così distante dal mondo mediterraneo.

Nasce una strana alchimia a prima vista: mi chiede chi sono e che lavoro faccio. La risposta è immediata: “Cleaner and kitchen porter”. In sostanza, donna delle pulizie e lavapiatti.

I have a company near to this house, are you interested to have an office job?

I’m sorry, I don’t speak good English

Don’t worry, nobody speaks it well

Ecco, il lavoro ha bussato alla porta. Ecco come si intrecciano le culture in questo paese.

Un’azienda grande, con etica islamica, un mondo culturale opposto al mio e prevalentemente composto da uomini. Uomini con i quali non ho avuto buone esperienze in passato, e che potrei definire, con un po’ di ironia, un genere che mi ha portato a diventare un po’ “allergica”. Aggiungiamo il fatto che sono turchi, e nella mia memoria riaffiorano le storie legate alla dominazione ottomana del 1480, l’assedio di Otranto, e i ricordi storici che, in un modo o nell’altro, hanno creato una visione stereotipata: “Mamma li Turchi”. Questa espressione affonda le radici proprio in quegli eventi storici, diventando una sorta di ammonimento.

Quando scopro che l’azienda è un grosso distributore alimentare, “Aytac Foods Distribution” www.aytacwholesale.co.uk la mia perplessità nell’accettare la posizione è grande. Tuttavia, non so per quale motivo quella strana alchimia continua a farmi sentire una forte spinta. Così, alla fine, non sono più una “cleaner” e “kitchen porter”, ma una office manager di una compagnia di import-export… Caspita, suona bene!

© Archivio di Angela Ivaldi Uso autorizzato

Le perplessità?

  • Non saper parlare inglese.
  • Non conoscere il turco.
  • Non conoscere la loro cultura, religione, né i gusti alimentari.

Ma quella frase continua a risuonare nella mia testa: “Don’t worry, nobody speaks it well

Ecco, questa è la chiave vincente di un paese accogliente come la Gran Bretagna: nessuno parla perfettamente l’inglese.

Allora, mi chiedo: sono in grado di affrontare tutto questo? E la risposta è sì.

Dopo una serie di insuccessi dovuti alle barriere culturali e sociali, ho capito che ciò che sarebbe stato costruttivo era aprirmi a nuove culture, spesso percepite come barriere. Queste barriere vengono spesso costruite dalla paura dell’ignoto, dalla diffidenza verso l’altro, verso le sue usanze e tradizioni. Londra, con la sua immensa varietà di etnie e culture, è un crogiolo dove ogni giorno ci si confronta con nuove realtà e la necessità di adattarsi, di scoprire, di mettersi in gioco.

© Archivio di Angela Ivaldi Uso autorizzato

Il lavoro, che inizialmente sembrava un colpo di fortuna, è diventato il catalizzatore di una riflessione più profonda sulla convivenza tra diverse culture. Accettare un impiego in un’azienda che rappresenta un mondo completamente diverso dal mio, con una lingua che non parlo e con un gruppo di persone che appartengono a una cultura che avevo solo sentito raccontare superficialmente, è stato come aprire una porta su una dimensione completamente nuova.

Mi sono trovata a confrontarmi non solo con le difficoltà pratiche, come la comunicazione in una lingua che non padroneggiavo, ma anche con il mio stesso pregiudizio nei confronti della cultura turca. La mia mente era intrisa di storie del passato, di stereotipi legati alla dominazione ottomana e ai conflitti storici, ma la realtà si è rivelata ben diversa. Gli uomini turchi che ho incontrato non erano i carnefici delle leggende, ma persone reali, con le loro sfumature, le loro contraddizioni, la loro umanità.

L’interazione con loro, pur inizialmente difficile, mi ha fatto capire che le vere barriere non sono quelle culturali o linguistiche, ma quelle mentali che ciascuno di noi costruisce. Barriere che nascono dalla paura di ciò che non conosciamo, dalla diffidenza che ci impedisce di guardare oltre il primo impatto.

Con il tempo, queste barriere hanno cominciato a cadere, e ho iniziato a vedere nel “terzo incomodo”, nel mio collega turco, non un ostacolo, ma una risorsa, una persona che condivideva la stessa voglia di fare e crescere, ma con una prospettiva diversa dalla mia. Le differenze culturali, lungi dall’essere un impedimento, sono diventate una ricchezza, un’opportunità di apprendimento reciproco.

E così, tra incomprensioni iniziali, risate, momenti di tensione, ho imparato che il vero valore di una cultura sta nella capacità di aprirsi, di accogliere, di mescolarsi. Ho compreso che ogni cultura, ogni tradizione, porta con sé un bagaglio di esperienze e saggezze che vanno oltre le apparenze, e che solo attraverso il dialogo possiamo sperare di superare le divisioni, di far sì che le storie intrecciate di popoli e culture non siano più solo narrazioni di conflitto, ma di cooperazione e crescita comune.

In fondo, come mi è stato detto, “Non ti preoccupare, nessuno lo parla bene“, e forse è proprio questa imperfezione a rendere tutto più umano, più autentico.

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Angela Ivaldi - Uk
Nata a Messina il 31 ottobre 1977, Angela Ivaldi è cresciuta in una famiglia umile, sviluppando fin da giovane un forte senso di responsabilità e una spiccata capacità organizzativa. Dopo un'infanzia segnata da difficoltà economiche e un grave incidente che ha colpito suo padre, Angela ha imparato a conciliare gli impegni domestici con lo studio, dimostrando una grande determinazione. Appassionata di arte e letteratura, Angela si è sposata a 24 anni e ha avuto due figli, Antonio e Maria. Nonostante le sfide economiche e personali, tra cui la perdita del lavoro e la fine del matrimonio, ha sempre trovato forza nella sua fede cattolica. Con il tempo, ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito, dove ha affrontato nuove sfide con resilienza e volontà di miglioramento. La vita di Angela è stata un percorso di crescita continua, caratterizzato da cambiamenti e adattamenti, sempre con l'obiettivo di evolvere e superare le avversità
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