Come è ormai ben noto a tutti, il 2025 è un anno di particolare rilievo per i fedeli di tutto il mondo: con l’arrivo del Giubileo, milioni di pellegrini si preparano a intraprendere un viaggio spirituale verso luoghi sacri, tra cui le grandi cattedrali e le basiliche. Alcuni sono in cerca del perdono divino, altri sono semplicemente curiosi di scoprire le bellezze architettoniche del nostro Paese, soprattutto di quelle racchiuse nelle nostre chiese.
Sì, perché le nostre chiese, basiliche e cattedrali, per religiosi e non, sono da sempre oggetto di visita per via della loro maestosità e della loro ricchezza artistica. Ed è proprio pensando alla loro forma caratteristica che ho pensato di scrivere dell’origine della parola NAVATA.
Negli spazi solenni dei luoghi di culto, infatti, le navate assumono un ruolo centrale, diventando non solo il fulcro dell’architettura religiosa, ma anche simboli di accoglienza e comunità. Attraversare una navata significa intraprendere un percorso interiore, un cammino che conduce all’indulgenza, alla riflessione e al rinnovamento della fede. L’architettura stessa, con la sua imponenza e armonia, accompagna e amplifica questa esperienza, trasformando la navata nel cuore pulsante della spiritualità condivisa.

Dal punto di vista etimologico, il termine navata richiama immediatamente l’immagine di un lungo corridoio centrale all’interno delle chiese, ma la sua origine linguistica cela un significato ancora più profondo. Derivato dal latino navis, che significa nave, il termine evoca un’immagine di movimento e transito, suggerendo un viaggio fisico e spirituale. Questa connessione non è casuale: la forma allungata delle navate, con le volte a botte o a crociera, ricorda lo scafo di una nave rovesciata, un dettaglio che ha affascinato architetti e fedeli per secoli. Entrare in una chiesa significa, metaforicamente, salire a bordo di un vascello destinato a condurre i credenti verso una dimensione trascendente.
La simbologia della navata come percorso verso l’altare non è solo visiva, ma anche profondamente culturale. La navata guida lo sguardo e il movimento dei fedeli, sottolineando l’importanza del cammino come metafora della vita spirituale.
In effetti, durante il Medioevo, molte parole architettoniche erano cariche di significati allegorici. La Chiesa stessa era spesso paragonata a una nave che guida i credenti attraverso le tempeste della vita verso la redenzione.

Nel tempo, poi, questo concetto si è radicato in molte tradizioni religiose e linguistiche: le versioni della parola navata (in francese nef, in inglese nave –pronunciato neiv- e in spagnolo nave, tutte derivanti dal latino navis ) testimoniano una continuità semantica che attraversa secoli e confini. Questa affinità linguistica dimostra come il concetto di navata sia stato universalmente riconosciuto come spazio di transizione e crescita interiore.
Molte altre parole liturgiche sono metaforiche, basti pensare a cattedra per indicare l’autorità del vescovo o a battistero, dal greco baptizein (immergere), che designa il luogo del battesimo, sottolineando l’atto simbolico della purificazione e della rinascita.
La navata, però, non è soltanto un elemento architettonico o religioso, ma anche un luogo di aggregazione e socializzazione. Qui si celebrano eventi cruciali nella vita di una comunità, dalle messe solenni ai matrimoni, dai concerti ai momenti di riflessione collettiva. Il suo valore trascende la funzione pratica di semplice passaggio: essa diventa un punto d’incontro tra passato e presente, tra sacro e profano, tra individualità e collettività. Il tutto contrario del tutto.
E allora, un po’ come il rovescio di una medaglia, così anche il corridoio centrale della chiesa, se osservato da una prospettiva diversa, rivela il vascello nascosto nella sua struttura. Un viaggio nel viaggio…